HIKIKOMORI: Il ritiro sociale

Scritto da Dott.ssa Emanuela Tornabene 24/02/2022

Un mondo dietro la porta: il disagio dei giovani che porta all'isolamento volontario

In questi ultimi anni, all’interno del complesso mondo del disagio giovanile e della dispersione scolastica, sta emergendo anche in Italia un profilo particolare di malessere in gran parte nuovo: alunni che sempre di più diradano la propria presenza a scuola, fino al suo abbandono.

Quello che colpisce è che il ritiro non avviene tanto per disinteresse o per insuccesso negli studi, quanto perché non riescono più a reggere i contesti sociali in cui vivono e il primo contesto a venire rifiutato è la scuola.

COME INIZIA

Le condizioni che portano adolescenti e giovani a chiudersi in casa, o addirittura nella propria stanza, sono state ampiamente studiate in Giappone dove questo fenomeno si è diffuso prevalentemente già a partire dagli anni 80 ed è stato indicato dallo psichiatra giapponese Tamaki Saito (T. Saito 2013 Hikikomori: Adolescence Without End, University of Minnesota Press,) con il termine Hikikomori (stare in disparte).
In Giappone si stima che un milione di ragazzi vivano in condizioni di isolamento sociale. È una volontaria reclusione, un rifiuto ma anche una forma di ribellione verso la società e I suoi modelli contraddittori.
Spesso Le “ragioni” che i ragazzi adducono per il ritiro sociale sono diverse, ma ruotano sempre intorno al timore di fallire, alla paura di essere giudicati e derisi, o dal rifiuto di pressioni sociali ritenute eccessive e contrarie ai propri desideri o aspirazioni

I ragazzi a seguito di un avvenimento precipitante, non sempre un atto di bullismo, sviluppano forme di somatizzazione, come il manifestarsi di segnali di malessere fisici, mal di pancia, mal di testa, vomito, dissenteria e ansie sempre più crescenti per cui incominciano a fare assenze a scuola, diradano gli eventuali impegni sportivi e/o di associazione e tutti gli interessi fino a che vengono del tutto abbandonati.

IL MONDO DENTRO UNA STANZA

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Si ritirano dalla vita sociale e chiusi nelle loro stanze avviano un’intensa attività di vita virtuale attraverso i videogiochi on line, I social, le serie televisive, ecc.

Per molti di loro, ma non per tutti, internet rappresenta un rifugio, l’unico ambiente ancora frequentabile, all’interno del quale mantenere in vita sprazzi di sé e relazioni mediate dalla tecnologia e dallo schermo.
La vita virtuale consente di anestetizzare il profondo dolore e il senso di solitudine, la tristezza, la vergogna e l’angoscia che attanaglia l’adolescente alle prese con il crollo degli ideali infantili e una pervasiva sensazione di essere di fronte al fallimento.
Questa loro immersione nella vita virtuale e l’uso intenso dei videogiochi è oggetto di discussione in quanto ci si pone la domanda se questa modalità è sì un adattamento che si sviluppa per mitigare la nuova condizione di isolamento, e per mantenere un contatto con gli altri e/o svolgere delle attività ma è anche un fattore che contribuisce a favorire il mantenimento dell’isolamento sviluppando potenziali forme di dipendenza:

“Oggi distinguere un utilizzo fisiologico, a sostegno della sperimentazione di nuove parti di sé, da un utilizzo esagerato, disfunzionale dei social network e dei videogiochi risulta estremamente complesso. Altrettanto difficile è definire con precisione quali siano i segnali di una dipendenza da internet, soprattutto se ci riferiamo alle generazioni nate dopo l’avvento degli ambienti virtuali e degli smartphone” (2019 M. Lancini-Il ritiro Sociale degli adolescenti, Cortina Editore)

In ogni caso la tecnologia e internet ormai fanno parte della nostra realtà e non si può non interrogarci sul ruolo che hanno questi strumenti sul modo di affrontare le relazioni, il gioco e la costruzione dell’identità dei giovani.

COSA SI PUO’ FARE

Di fronte a tutto questo la famiglia per prima viene sconvolta, appena realizza che dietro la chiusura non ci sono capricci o disinteresse ma capisce che dietro quel ragazzo c’è un mondo di emozioni, di vissuti e di sofferenza.

È un malessere profondo che va guardato in faccia e che coinvolge tutti, La famiglia, la scuola, le istituzioni, i servizi sociali, I mass-media, la rete, la società.
Loro “gli adolescenti” con il loro malessere ci parlano, in contrapposizione agli ideali proposti dalla società, della loro paura di non farcela, di non essere all’altezza delle aspettative, di non essere adeguati, di non essere in grado di sostenere la competizione sociale. Ma ci invitano anche a guardarci dentro a rivedere I nostri modelli di riferimento e la società stessa.

Ci invitano a pensare e ri-pensare a nuovi modi di stare insieme. Forse ascoltandoli possiamo insieme ri-far nascere quel desiderio assopito di vivere.